Siamo in periodo di dichiarazione dei redditi e come ogni anno ci viene chiesto a chi vorremmo donare il 5xmille e l’8xmille delle nostre tasse. Specie in televisione, compaiono decine di spot che ci ricordano (e fanno bene!) che siamo più fortunati di quanto pensiamo e ci mostrano che in tanti hanno invece bisogno di aiuto. Questi messaggi pubblicitari non commerciali sono realizzati da associazioni ed enti no profit che chiedono sostegno economico poter continuare le loro attività di aiuto sociale e umanitario. Questo tipo di comunicazione è parte del più ampio settore della comunicazione sociale.
Cos’è la comunicazione sociale
La comunicazione sociale è quel tipo di comunicazione su larga scala che ci parla di problemi sociali, come la povertà, la tossicodipendenza, la violenza, o di emergenze umanitarie mondiali, come la sete, la fame, le guerre. Le campagne di Amnesty International, Emergency, Save the Children, ma anche realtà più vicine a noi, come le campagne delle fondazioni per la ricerca sul cancro e le malattie rare, il sostegno ai malati e alle loro famiglie e centinaia di altre associazioni che lavorano per il bene di tutti.
In questi casi, la comunicazione sociale è finalizzata a sensibilizzare la popolazione su determinati temi, ma è anche legata alla raccolta di fondi, che spesso costituisce la fonte principale, se non l’unica, di finanziamento per molte organizzazioni no profit. La comunicazione sociale è usata anche dagli Enti pubblici, come Ministeri ed Enti locali allo scopo di educare e sensibilizzare i cittadini su temi di interesse sociale, come il rispetto dell’ambiente, l’educazione civica o la sicurezza stradale, o su temi legati alla salute come le campagne anti fumo, anti droga o per il sesso sicuro.
La comunicazione sociale mira ad influenzare positivamente opinioni, atteggiamenti e comportamenti delle persone e il modo più efficace per farlo è utilizzare la comunicazione persuasiva.
La comunicazione sociale persuasiva
La persuasione veniva definita dal filosofo Aristotele come l’arte di indurre le persone a compiere azioni che normalmente non compierebbero. La comunicazione persuasiva è quindi finalizzata ad indurre l’altro a fare qualcosa che in genere non fa in modo spontaneo. Le tecniche di comunicazione persuasiva sono moltissime e quali utilizzare dipende dal risultato che si vuole ottenere e dalle caratteristiche di chi si vuole persuadere. La persuasione, infatti, è efficace quando convince qualcuno a fare qualcosa partendo da suoi elementi personali, in modo tale che il comportamento poi agito sembri essere una sua decisione autonoma. Tali elementi possono essere molto differenti da persona a persona, ma ce ne è uno che è comune a tutti gli esseri umani e che consente di influenzare un target molto vasto: le emozioni.
La comunicazione persuasiva è alla base anche del marketing commerciale, ma c’è una differenza importante tra le leve emotive su cui punta nei due ambiti. Mentre il marketing commerciale tende a lavorare di più sulle emozioni positive, come la gioia, l’amore, la felicità, la soddisfazione, ecc., la comunicazione sociale suscita pietà, tristezza, commuove, spaventa, disgusta, accusa, incolpa, irride e provoca.
È comprovato che suscitare emozioni negative come paura, disgusto e senso di colpa funziona e attira l’attenzione del pubblico, ma non in modo così diffuso e sempre efficace come gli addetti ai lavori vorrebbero. Far insorgere vissuti spiacevoli, infatti, rischia di provocare resistenze e rifiuto, soprattutto quando le persone ritengono di non poter fare nulla riguardo al problema presentato. Se essere a conoscenza di qualcosa mi disturba o mi fa essere triste e so di non avere alcun mezzo per intervenire o risolvere la cosa, mi trovo in uno stato di dissonanza cognitiva, per cui, pur di eliminare il vissuto negativo, arrivo a negare l’esistenza di ciò che mi disturba. Se la mia condizione esistenziale è di poco sopra la sopravvivenza, essere continuamente stimolato con immagini di persone in condizioni peggiori che però so di non poter aiutare, mi porta a sentirmi ancora più frustrato e a prendermela con quelle stesse persone rifiutandole e ignorandole.
Il linguaggio persuasivo della comunicazione sociale
Utilizzando le leve della persuasione, anche la comunicazione sociale presenta registri linguistici diversi a seconda del risultato che vuole ottenere. Esistono 6 stili comunicativi propri della comunicazione sociale:
1. Commovente/Drammatico: Il linguaggio commovente, che a volte rasenta il patetico o sfiora il drammatico, è quello più utilizzato nelle campagne di comunicazione sociale in Italia. In questa categoria, una delle tecniche più comuni è la presentazione dei drammi delle popolazioni o persone svantaggiate. Si utilizzano immagini e parole che si presume possano commuovere e quindi arrivare al cuore del destinatario. A volte la comunicazione gioca sulla pietà per cercare di muovere la coscienza delle persone e per invitare all’azione, che spesso si traduce in una donazione in denaro. Questo linguaggio cerca di entrare in un rapporto empatico con lo spettatore e di commuoverlo: molto spesso il vero obiettivo è la donazione. Per esempio, il linguaggio drammatico viene utilizzato nelle raccolte fondi legate alle emergenze umanitarie.
2. Accusatorio: Rispetto ad oggi, in passato erano di gran lunga più numerose le campagne sociali che nascevano con lo scopo di denunciare un problema o di accusare i soggetti responsabili di tale problema o della situazione negativa. Per esempio, le prime campagne ambientali o per la difesa dei diritti umani hanno utilizzato il tono accusatorio. Questo linguaggio si caratterizza per l’utilizzo frequente di toni aggressivi perché vuole suscitare un senso di colpa nei destinatari della campagna.
I contenuti e le immagini cercano di avere un grande impatto sul pubblico e implicitamente mettono sotto accusa chi non ha preso le decisioni giuste o non ha voluto contribuire alla soluzione del problema.
Le comunicazioni sociali che utilizzano un linguaggio accusatorio tentano di focalizzare l’attenzione delle persone su specifici problemi. Nella maggioranza dei casi, l’obiettivo di tali campagne è di stimolare i governi, gli enti pubblici, le organizzazioni politiche a cambiare le regole, a prendere posizione, a dare vita a nuove leggi. Tale stile di comunicativo è utilizzato dalla maggioranza delle campagne realizzate dalle associazioni ambientaliste che hanno come obiettivo la mobilitazione (dalla sottoscrizione di petizioni alla partecipazione a manifestazioni). Questo linguaggio viene utilizzato anche dalle associazioni animaliste: per esempio, nel periodo estivo nelle campagne contro l’abbandono degli animali.
3. Scioccante: Il linguaggio scioccante è sicuramente quello che più si discosta dalla pubblicità commerciale. Tale linguaggio è poco utilizzato nel nostro Paese, ma ricopre un ruolo da protagonista nei Paesi Anglosassoni. Nelle campagne sociali che utilizzano il linguaggio scioccante si sceglie di rappresentare un aspetto drammatico/scioccante della realtà e di mettere in evidenza le conseguenze negative di un determinato comportamento. Sono un esempio di comunicazione scioccante le foto sui pacchetti di sigarette o le campagne contro i disturbi alimentari. Anche se sono in molti ormai a pensare che nel nostro Paese questo tipo di campagna non sia da utilizzare, esiste una corrente di pensiero in crescita che sostiene invece la necessità di utilizzare questo linguaggio per ottenere attenzione e stimolare il cambiamento. Questo linguaggio cerca spesso di fare gioco sull’appello alla paura, il cosiddetto fear appeal, cercando di scioccare il destinatario della comunicazione con immagini impressionanti. Il messaggio ha frequentemente toni impietosi, diretti, crudi e tende ad enfatizzare gli aspetti più drammatici della situazione. Nella maggioranza dei casi il contenuto ha l’obiettivo di provocare quasi un senso di orrore agli occhi di chi lo sta guardando. È evidente che uno degli scopi principali di queste campagne è stimolare un cambiamento nelle opinioni ma soprattutto nei comportamenti delle persone. Il registro scioccante mira a colpire anche un target secondario, costituito dalle persone vicine al soggetto direttamente interessato dalla campagna, come i famigliari, sperando che questi si trasformino in veri e propri influencer del comportamento dell’altro.
4. Ironico: Anche tale tipo di linguaggio non è frequentemente utilizzato in Italia, questa tipologia di campagna ha l’obiettivo principale di evidenziare i problemi utilizzando però un tono divertente. Tale peculiarità non deve certo stare a significare che viene sottovaluta l’urgenza o l’importanza del problema in questione. Questo linguaggio cerca di stimolare una riflessione su di uno specifico problema: a differenza del linguaggio drammatico, che fa spesso perno sulla paura, è presente un forte stimolo all’azione senza però far leva sul senso di colpa, bensì su di una sorta di “sorriso amaro”. In più di un’occasione è stato utilizzato un attore o comunque un testimonial in grado di proporre i problemi in maniera ironica. Un esempio fu l’utilizzo di Giobbe Covatta e il suo “Basta poco, che ce vò?!” nelle campagne per le popolazioni dell’Africa. Spesso l’obiettivo di tali campagne è la presa di coscienza del problema; in altri casi si cerca di stimolare un vero e proprio cambiamento di stili di vita o di semplici gesti; in altri casi ancora si cerca di ottenere la partecipazione attiva per la soluzione del problema.
5. Didattico/Paternalista: In questa categoria i problemi vengono rappresentati in maniera “didattica” con lo scopo più o meno dichiarato di insegnare alle persone come bisogna comportarsi. In Italia, tale tipo di linguaggio, è tra i più impiegati e in particolar modo viene utilizzato dall’ente pubblico in molte campagne sociali per promuovere la sicurezza stradale, per combattere le dipendenze, ed altro ancora. Tale linguaggio cerca di fare leva sulla responsabilità individuale con un esplicito appello al rispetto delle regole. L’obiettivo finale di questo tipo di campagne è di stimolare, grazie all’informazione presentata, non solo la riflessione, ma soprattutto il cambiamento suggerendo modifiche nel proprio modo di agire.
Ciascuno di questi registri linguistici presenta aspetti di efficacia e rischi di ottenere un risultato opposto a quello voluto. Non esiste quindi una risposta univoca su quale sia il linguaggio più efficace nella comunicazione sociale.
Utilizzare le emozioni positive nella comunicazione sociale
Ancora relativamente inesplorate (e probabilmente sottostimate) rimangono le potenzialità degli stili comunicativi che sollecitano emozioni positive, spesso ritenuti a priori ingiustamente poco impattanti e incisivi.
Uno dei registri positivi che sta attualmente ricevendo una crescente attenzione per la sua efficacia persuasiva è quello centrato sulla manifestazione di sentimenti di gratitudine da parte di chi ha beneficiato di aiuto e supporto tramite volontariato o donazioni. In particolare, sentirsi ringraziare e ricevere manifestazioni di autentica gratitudine rassicura chi ha compiuto una buona azione non solo circa il fatto che questa sia andata a buon fine, ma anche che sia stata recepita positivamente e apprezzata da coloro ai quali era destinata. Vedere un bambino svantaggiato che sorride felice per aver superato la sua condizione ha una potenza persuasiva notevole. I beneficiari, nella misura in cui sono in grado di riconoscere il bene ricevuto e di esprimere gratitudine per esso, offrono inoltre al benefattore garanzie circa le proprie qualità morali, rendendoli meritevoli, qualora ve ne sia la necessità, di ulteriori azioni a loro vantaggio. Così facendo favoriscono un coinvolgimento affettivo e l’instaurarsi di un legame di fiducia con il benefattore che lo inducono a sentirsi socialmente stimato e a persistere nelle proprie attività di aiuto e supporto.
È bene però sottolineare che le espressioni di gratitudine agiscono come un rinforzo per ulteriori azioni morali e prosociali ad una condizione: l’espressione di gratitudine deve risultare sincera e sentita, priva di finalità manipolatorie.
Per quanto riguarda lo strumento principe della comunicazione sociale, sicuramente la televisione, il web e tutti quei mezzi che consentono la trasmissione di video sono preferiti e c’è più di un valido motivo per questo.
Innanzitutto, consentono di raggiungere un pubblico molto più vasto ed eterogeneo; in secondo luogo, i video hanno una potenza emotiva di molto superiore rispetto ad un messaggio trasmesso per iscritto con una foto su un giornale o ascoltato via radio. Uno spot infatti consente di raccontare una storia, di far capire più facilmente e velocemente cosa quell’organizzazione fa, perché lo fa, mostrando le reali e gli effetti del suo intervento, e per chi lo fa, dando un volto e un nome a persone vere che hanno bisogno di aiuto. Il video stimola una maggiore empatia in chi lo guarda.
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