Cause ed effetti del convocare un meeting anche quando non serve

C’è un altro virus altamente contagioso che si aggira per le aziende italiane… un virus che colpisce soprattutto i manager e che comporta enormi danni alla capacità di gestione del tempo… provoca sintomi ben riconoscibili e la malattia che scatena è chiamata RIUNIONITE!

Riunionite: la tendenza a convocare una riunione per qualunque cosa.

Il problema principale di questa malattia è che gli effetti si vedono anche sugli altri: persone che si azzuffano per prenotare una sala, che corrono nei corridoi per passare velocemente da un meeting a un altro o che, stando in smart working, usano pc e smartphone per essere collegati a 2 riunioni contemporaneamente e si chiedono: “Perché devo sprecare il mio tempo qui invece di usarlo per attività molto più urgenti e prioritarie?”

Scopriamo insieme i 6 principali motivi per cui vengono convocate riunioni inutili.

Perché convochiamo riunioni inutili

Una ricerca del National Statistic Council rivela che il 37% del tempo del lavoro è dedicato alle riunioni. Per i manager la percentuale raggiunge addirittura il 50%.  Il 47% dei lavoratori ritiene che le troppe riunioni siano la più grande perdita di tempo di una giornata. I sintomi della riunionite sono chiari, le cause un po’ meno. Sicuramente alla base ci sono dei fattori umani, su tutti delle difficoltà personali e manageriali, ovvero lacune nella capacità di ricoprire il proprio ruolo o di esercitare la leadership. È possibile individuarne almeno 6:

1. Non riescono e/o non vogliono prendere una decisione o assumersi una responsabilità e allora convocano una riunione. Così la decisione sarà presa in gruppo e la responsabilità sarà di tutti e non solo di uno.

Questa scusa è spesso utilizzare da leader deboli che nascondono la loro mancanza di assertività e di capacità decisionale dietro una fina leadership “diffusa”. La riunione non serve a coinvolgere e motivare il team, ma a “distribuire” la responsabilità in caso di conseguenze negative.

2. Non ho la soluzione ad un problema e allora convoco una riunione nella speranza che, per opera di forze soprannaturali o per merito di qualcun altro, la soluzione si materializzi. 

Un manager del tutto privo o con scarso problem solving è un bel problema per l’azienda. Questa rigidità mentale è spesso legata al non essere più abituati a fare ricerche, studiare, analizzare i dati e arrivare a formulare ipotesi in autonomia.

3. Voglio bloccare o allontanare qualcosa che si sta materializzando e che percepisco come minaccioso, allora convoco una riunione per provare a mischiare le carte e allungare i tempi. 

Questo è un modo per mettere il bastone tra le ruote a qualcosa che potrebbe avere effetti negativi sul lavoro di chi convoca il meeting. Se è prevista la partenza di un nuovo progetto che richiede un impegno particolare o per cui la persona non si sente preparata, in modo spesso inconsapevole, questa metterà in atto una serie di resistenze psicologiche, che la porteranno a mettere in atto comportamenti finalizzati ad evitare che quel progetto parta. Se ti riconosci bloccato in questa situazione, fermati e chiediti cos’è che ti preoccupa realmente. Convocare una riunione non lo farà sparire!

4. Non riesco a gestire un conflitto personale con un collega e allora convoco una riunione per “diluire” e aggirare il conflitto personale, limitandomi ad inviare al mio “nemico” segnali in codice. Quante volte hai partecipato a riunioni che sono state più un confronto a due o attacchi personali, più o meni diretti ed espliciti, verso un solo partecipante che veri e propri meeting?

Queste situazioni si creano quando chi convoca la riunione non riesce a comunicare direttamente con “l’altro”, non è in grado di affrontare e gestire una situazione conflittuale, si sente in una posizione inferiore rispetto all’altro e allora cerca di sfruttare una situazione di gruppo.

In una situazione di gruppo, infatti, è più difficile che l’altro reagisca apertamente ad un attacco velato. La persona si sente (ed effettivamente è) più protetta rispetto ad un confronto vis à vis.

5. Non voglio indispettire nessuno e/o mancare di rispetto, quindi nel dubbio convoco anche il collega Tizio, e a questo punto se ho convocato Tizio devo dirlo anche a Caio, del resto anche lui l’ultima volta mi ha convocato alla sua riunione, anche se non ho capito bene il perché. Nel dubbio meglio abbondare. 

Questo vuol dire che non si ha chiaro l’obiettivo della riunione e soprattutto il danno enorme che si fa al lavoro degli altri e all’azienda in generale, in termini di tempo, risorse e soldi.

6. Sento di non aver sufficientemente affermato la mia autorevolezza e quindi convoco una riunione in modo da procurarmi una ulteriore opportunità “teatrale” per dimostrare che il capo sono io. Questo è il momento di chi vorrebbe essere un leader e invece riesce a mala pena ad essere un capo. 

Comincia il meeting con: “Allora…”, cerca di mantenere un tono assertivo ma risulta solo arrogante, vuol sembrare autorevole ma si dimostra solo autoritario, vorrebbe alternare bastone e carota ma finisce solo con il criticare aspramente. Gli piacerebbe parlare di strategia aziendale ma continua a battere su dettagli secondari.

Come contrastare la riunionite

Al di là delle umane fragilità dei manager «dalla convocazione facile», se le organizzazioni soffrono di riunionite è soprattutto perché non si applica il giusto metodo per condurre riunioni efficaci.

Le riunioni troppo spesso vengono gestite male, o più semplicemente non vengono gestite, nel senso di «guidate verso un obiettivo in tempi utili», soprattutto perché non vengono progettate nei contenuti e nei tempi.

Una riunione può rappresentare un momento chiave nell’intera vita di un’azienda. Se sarà un momento di crescita e sviluppo o una perdita di tempo e di denaro, dipende solo e soltanto da cosa accadrà durante lo svolgimento e lo svolgimento dipenderà da se e come è stato organizzata, progettata e da come viene gestita la riunione e dalla partecipazione delle persone giuste ed essenziali e dai reali intenti di chi l’ha organizzata.

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